«Il Canavese non ha attualmente, né mai ebbe una circoscrizione propria.
Né la storia, né la geografia gli danno precisi confini.»
L’attuale localizzazione
Ad oggi invece, con questo nome si suole indicare quella parte del Piemonte compresa fra la Serra d’Ivrea e il corso inferiore della Dora Baltea da Mazzè sino alla confluenza col Po, il corso di questo fiume sino alle vicinanze della confluenza della Stura di Lanzo, la riva sinistra della Stura, escludendo una piccola parte della pianura a nord di Torino (Settimo Torinese), quindi le vette culminanti delle Alpi Graie dalla Levanna al massiccio del Gran Paradiso (Valle del Malone, Val di Locana, Val di Soana e Val Chiusella). Corrisponde all’incirca al territorio del municipio Romano di Eporedia (Ivrea), abitato dai Salassi.
Fertile e ben irrigato
Il Canavese, nella parte piana, fra il Po, l’anfiteatro morenico d’Ivrea e le Alpi Graie, è quasi dovunque fertilissimo, ben irrigato e intensamente coltivato a cereali e foraggi. Povera d’acque, e in parte incolta, è la regione delle vaude, formata dal lato orientale del conoide della Stura, fra questo fiume e il torrente Malone. Questo vasto ripiano, dolcemente inclinato dalle Alpi verso il Po, è limitato da ripidi pendii verso la pianura ed è solcato da numerosi torrenti che vi incidono una serie di solchi divergenti. Il suolo è formato da materiali detritici più o meno grossolani, portati dalla Stura, i quali hanno subito in parte un processo di disgregazione meteorica, trasformandosi in una sabbia rossiccia, designata col nome di ferretto. Quanto mai pittoresche sono le colline che formano l’anfiteatro morenico d’Ivrea, che contiene 12 laghi, fra cui i maggiori sono quelli di Viverone e di Candia; celebre fra gli altri prodotti di queste colline è il vino passito di Caluso.
La Storia
La regione prese il nome non dall’abbondante coltivazione della canapa, ma da “Canava”, terra distrutta presso l’Orco, che appartenne prima alla chiesa di Torino, e poi verso il 1000 a Guiberto, conte di Pombia e fratello del re Arduino d’Ivrea: da questi due personaggi derivarono le due famiglie dei conti di Biandrate, e di Castellamonte, di cui un ramo fu il capostipite dei conti del Canavese. Questa famiglia si suddivide nelle tre altre comitali di Valperga, di Masino e di S. Martino (Pombia); che alla lor volta in diverse epoche si aggregarono i signori della Torre, di Strambino, di Vische, i conti Cagnis di Agliè e quelli di Front; cosicché tutte queste famiglie accoppiarono al loro nome il predicato S. Martino.
Distrutto il loro castello dai Milanesi nel 1168, una parte dei Biandrate si ripiantò nel Canavese, unendosi ai Valperga, ai Masino, ai S. Martino ed ai Castellamonte in un unico consortile canavesano contro i nemici: Novara, Vercelli e Monferrato. Nel 1213 questa lega signorile si collegava con il comune d’Ivrea, formando con esso e con i signori a nord un unico stato, rinsaldato nel 1229. Ma Federico II nel 1248 concedeva l’alta sovranità sui conti del Canavese a Tommaso di Savoia, conte di Fiandra, e undici anni dopo l’imperatore Corrado IV la passava al comune d’Ivrea.
Casa Savoia
La decisione di Corrado determinava una tale esplosione d’ira nei vari conti da indurli nel 1266 a sottomettersi piuttosto al marchese Guglielmo di Monferrato, limitrofo al Canavesano dal lato meridionale. Ivrea stessa in questo medesimo anno doveva passare in signoria del Monferrino, ma per poco. La libertà comunale eporediese era però agonizzante ed ecco succedervi varie dominazioni: angioina di Carlo di Napoli nel 1271, monferrina ancora del marchese Guglielmo nel 1278, milanese dei Torriani apparenti tutelatori del comune, sabauda di Amedeo V e Filippo d’Acaia nel 1313.
Il Canavese, di cui Ivrea era la terra più importante, vedeva così infiltrarsi a poco a poco fra le sue signorie indigene quelle di fuori; finché la raffica distruggitrice della rivolta del tuchinaggio, attraversante tutto il Canavese nella seconda metà del sec. XIV, le lotte efferate fra i S. Martino, i Masino e i Valperga, le bande mercenarie strazianti la bella regione e Facino Cane provocavano l’intervento durevole della Casa Savoia, riconfermato nel 1435 dal riconoscimento da parte di Giovanni Giacomo, marchese di Monferrato, della cessione del Canavese, già fatta poco avanti ai Savoia dal suo zio marchese Secondotto.
Così Amedeo VII tenne stabilmente e tramandò ai suoi successori il possesso del Canavese. Mantennero la propria indipendenza le terre dell’abbazia di Fruttuaria, che si sottomisero solo nel 1710 a Vittorio Amedeo II. Il Canavese è ricordato da Dante (Purg., VII, 136), da Fazio degli Uberti (Ditt., III, 5, 67) e da molti scrittori di storia e di geografia dei secoli XV e XVI.